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Permessi premio: la collaborazione impossibile

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Quando per la magistratura di sorveglianza è impossibile…la concessione dei permessi premio

Il caso.

La magistratura di sorveglianza di Pavia dichiarava inammissibile la richiesta di permesso premio formulata dal condannato rilevando, con riferimento all’accertamento della possibile collaborazione, che la collaborazione non fosse impossibile considerato il ruolo rilevantissimo del condannato all’interno dell’associazione criminosa che veniva desunto dalle informative sia della Direzione distrettuale antimafia di Catania sia della Procura nazionale antimafia per cui la collaborazione poteva ritenersi utile per le ulteriori indagini sul sodalizio criminale esistente.

Secondo il Tribunale di sorveglianza di Milano in assenza di collaborazione con la giustizia e in presenza di reati ostativi, la presunzione di pericolosità del condannato poteva essere superata solo nel caso in cui il Magistrato di sorveglianza avesse acquisito elementi tali da escludere che il condannato avesse ancora collegamenti con l’associazione criminale di origine e con questa potesse tornare a delinquere.

Cosa dice la Corte Costituzionale.

La Corte costituzionale, seguendo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha ritenuto, con la sentenza n. 253 del 2019, che la disciplina in materia di benefici penitenziari sia costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che, nei confronti dei detenuti per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia e anche ove essa sia possibile o esigibile allorchè siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo che essi siano ripristinati.

Quindi la condanna per un delitto ostativo non comporta una preclusione oggettiva ed assoluta per l’accesso ai benefici penitenziari purchè siano valorizzati dalla magistratura di sorveglianza elementi in grado di dimostrare l’assenza di pericolosità sociale attuale o la possibilità che il condannato posso tornare a delinquere in seno all’associazione criminale.

É compito della magistratura di sorveglianza, che potrà sempre essere adita per tale scopo, accertare il grado di effettività della collaborazione ovvero se la collaborazione è impossibile o inesigibile.
Nel caso in cui la collaborazione rimanga esigibile non basterà accertare l’inesistenza di collegamenti con la criminalità organizzata ma bisognerà anche verficare che non ci sia un concreto pericolo, considerate le circostanze personali e ambientali, che tali collegamenti vengano ripristinati: questi elementi devono essere dimostrati dal condannato.

Cosa dice la Cassazione.

Secondo la Corte di Cassazione l’accertamento della possibile collaborazione deve essere limitato ai fatti e ai reati oggetto della condanna per cui si chiede il permesso premio non potendo estendersi tale accertamento ad libitum a tutte le condanne riportate.

Difatti il contenuto dell’art. 58 ter ordinamento penitenziario non deve essere confuso con quanto previsto dalla normativa in materia di testimoni di giustizia per cui è richiesta la collaborazione anche per fatti diversi da quelli per i quali è intervenuta la condanna, peraltro subordinando il regime di favore ad un rigoroso limite temporale per fonire il contributo collaborativo.

Nel caso di specie il Magistrato di sorveglianza, basandosi sulle informative della Direzione distrettuale antimafia di Catania e della Procura nazionale antimafia, fa erroneamente riferimento alla circostanza che la collaborazione non può essere circoscritta ai soli fatti per cui il condannato ha riportato condanna.
Tale interpretazione non è conforme ai principi dettati sul punto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte di Strasburgo per cui la Cassazione accoglie il ricorso e annulla l’ordinanza, con rinvio, per nuovo giudizio sui punti indicati, al Tribunale di sorveglianza di Milano.

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