Responsabilità medica:
Per il medico vale sempre la legge più favorevole
Il caso:
La Corte di appello, in riforma del provvedimento di assoluzione emesso dal Tribunale, dichiarava il medico responsabile del reato di omicidio colposo e lo condannava insieme al legale rappresentante della Casa di cura al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili ed alla rifusione delle spese relative al doppio grado di giudizio.
Al medico era contestato di avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con negligenza, imprudenza ed imperizia, cagionato la morte di un paziente in quanto, quale medico di guardia in servizio la Casa di cura – ove il paziente era ricoverato con diagnosi di entrata di “psicosi schizoaffettiva” – aveva effettuato l’errata diagnosi di “sonno profondo”, laddove, invece, il paziente stava versando in situazione di coma a causa di un’emorragia cerebrale dovuta a caduta, e di conseguenza aveva erroneamente disposto la somministrazione di soluzione reidratante 250 ml. e di un flacone di TAD 600, con sospensione della terapia neurolettica ed applicazione di una busta di ghiaccio sintetico sulla fronte, anzichè richiedere, quantomeno, l’esecuzione di un esame strumentale del tipo TAC cerebrale presso struttura idonea, effettuare con tempestività la diagnosi di emorragia cerebrale e richiedere con assoluta urgenza una consulenza neurochirurgica, nonchè il trasferimento immediato del paziente presso il locale presidio ospedaliero o altro nosocomio dotato di idonea strumentazione e di personale specializzato, reiterando la predetta errata prognosi di “sonno profondo” anche nell’ora successiva, così perseverando nell’errata impostazione diagnostica ed infine cagionando la morte del paziente, verificatasi dopo circa cinque ore a causa di emorragia cerebrale diffusa.
Osserva la Corte di appello, che annullava la sentenza assolutoria di primo grado, che l’applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità avrebbe dovuto condurre ad osservare che la ricostruzione alternativa, seppur probabile e plausibile, non potesse comunque escludere l’adozione da parte del medico, una volta rinvenuto il paziente riverso a terra con la fronte vicina alla parete, di un comportamento doveroso, consistente nel provvedere all’immediato ricovero del paziente in una struttura idonea ad eseguire una TAC cerebrale ovvero un Encefalogramma, eventualmente provvedendo alla rimozione dell’ematoma nascosto.
La condotta assunta dall’imputato, quindi, per come accertata dai periti, non è risultata adeguata rispetto alla concreta situazione fattuale, atteso che in occasione del primo esame del paziente aveva disposto solo la riduzione dei farmaci antidepressivi e che dopo circa un’ora e trenta minuti, constatato che il pz. rispondeva solo a sintomi dolorosi, ha unicamente disposto la verifica termica e l’osservazione costante, anzichè sottoporre il paziente ad immediati accertamenti strumentali, con ricovero presso il vicino presidio ospedaliero.
Per il giudice di secondo grado, inoltre, anche a voler ritenere corretta l’effettuata diagnosi di “sonno profondo” in luogo di quella di coma, sarebbe stato comunque necessario procedere all’immediata effettuazione di accertamenti strumentali, ed in particolare di una TAC, e non alla mera e inutile applicazione di una borsa del ghiaccio.
L’omessa esecuzione di controlli ed accertamenti doverosi per la corretta formulazione della diagnosi, ravvisabile nella condotta imputabile al medico, ha, pertanto, configurato un’ipotesi di colpa professionale medica per errore diagnostico, la cui prova è per la Corte d’appello assolutamente evidente, considerato che, quale che fosse stata la causa del trauma, “l’errore del medico ha comunque determinato efficientemente il decesso seppure anticipandolo di poco”.
La Cassazione
L’introduzione da parte del Decreto Balduzzi del parametro di valutazione dell’operato del sanitario costituito dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali, con la successiva conferma di tale parametro ad opera della Legge Gelli-Bianco, ha modificato i termini del giudizio penale imponendo al giudice non solo una compiuta disamina della rilevanza penale della condotta colposa ascrivibile al sanitario alla luce di tali parametri, ma, ancor prima, un’indagine che tenga conto dei medesimi parametri allorchè si accerti quello che sarebbe stato il comportamento alternativo corretto che ci si doveva attendere dal professionista, in funzione dell’analisi controfattuale della riferibilità causale alla sua condotta dell’evento lesivo.
La Corte d’appello ha tralasciato di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali e trascurato di considerare il nesso di causa, tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, e di specificare chiaramente se si sia trattato di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza.
Ha poi omesso di indicare il grado della colpa ascrivibile all’imputato, il che determina una carenza di particolare significato, atteso che dal grado della colpa discendono conseguenze di assoluto rilievo.
Il grado della colpa, alla luce del Decreto Balduzzi, è la premessa indispensabile per discernere l’ambito del penalmente rilevante nella materia della colpa medica per il quale: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Con l’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco, il parametro dell’imperizia ha assunto maggior rilievo.
Le Sezioni Unite hanno precisato che l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.
In conseguenza di tale assetto normativo ed interpretativo, pertanto, si dovrà anche verificare in concreto quale sia la legge penale più favorevole, in relazione a fatti risalenti ad epoca antecedente all’ultimo intervento legislativo, come nel presente caso. Ciò, evidentemente, in virtù di quanto previsto dalle disposizioni che stabiliscono la retroattività della legge più favorevole.
Con riferimento a tale ultimo profilo, sempre l’indicata pronuncia delle Sezioni Unite, recependo approdi in precedenza già delineatisi, ha chiarito che il precetto di cui alla L. n. 189 del 2012, art. 3 risulta più favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario – commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco – connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilità quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate.
In secondo luogo, nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioè su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida, era coperto dalla esenzione di responsabilità del decreto Balduzzi mentre non lo è più in base alla novella che risulta anche per tale aspetto meno favorevole.
In terzo luogo, sempre nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa andava esente per il decreto Balduzzi ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590-sexies c.p., essendo, in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla attività del giudice penale che si trovi a decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio.
In conclusione secondo la Cassazione, che annulla con rinvio, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare l’esistenza di linee guida, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell’atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza, imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientri, o meno, in una delle previsioni più favorevoli.
Puoi restare informato sulle notizie di cronaca giuridica attraverso il nostro blog