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Responsabilità medica e giudizio controfattuale

responsabilità medica

Va sempre verificato se la condotta, omessa dal medico, avrebbe impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento

La responsabilità medica del ginecologo che viene confermata dalla Corte d’appello che condanna il medico per il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. perchè, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, per aver omesso di sottoporre nell’ultimo mese di gravidanza la paziente ai dovuti controlli ginecologici consistenti in tracciati cardiotocografici, a misurazione di pressione sanguigna e del peso, nonchè di esami ematochimici nonchè omettendo una tempestiva valutazione diagnostica in soggetto obeso portatore di gravidanza gemellare ed affetto da ipertensione pregestionale con concomitante patologia tiroidea e incremento ponderale in gravidanza, situazione clinica questa che avrebbe dovuto far propendere ginecologo per un taglio cesareo di urgenza a seguito della diagnosi di broncopatia ipersecretiva curata soltanto con la prescrizione di farmaci antibiotici, cagionava la morte della gestante.

La Cassazione tuttavia censurava il percorso argomentativo della Corte di appello perchè si palesava insufficiente e, a tratti contraddittorio, in punto di esatta individuazione di un chiaro nesso eziologico tra le condotte contestate all’imputato e l’evento morte e di individuazione degli stessi profili colposi addebitabili all’imputato.
Secondo il Supremo Collegio, seppur il giudice di primo grado richiami la Sezioni Unite Franzese del 2002, entrambi i giudici di merito non operano un buon governo nè dei principi affermati in tale sentenza, punto di riferimento ineludibile in punto di nesso di causalità nei reati colposi, e nemmeno di tutta l’elaborazione giurisprudenziale che ha visto impegnata questa Corte di legittimità, negli ultimi venti anni, in tema di responsabilità medica.

Il giudice di primo grado quanto quello di appello omettono completamente il c.d. giudizio controfattuale, che non può che essere, come è stato nel caso che ci occupa, un giudizio meramente ipotetico, ma deve invece tendere ad accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest’ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento o comunque ridotto l’intensità lesiva dello stesso.

Responsabilità medica

La Cassazione richiama una precedente pronuncia in cui è stata esclusa la responsabilità degli imputati, non essendo stata raggiunta la prova che, ove questi avessero ripetuto determinati esami strumentali, sarebbero pervenuti con certezza od elevata probabilità od una diagnosi differenziale di quella formulata, che avrebbe consentito di compiere l’intervento chirurgico necessario per impedire il decesso del paziente.

In altri termini, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto.

La Cassazione, sez. IV, in applicazione del citato principio, ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva dell’anestesista, consistita nel mancato monitoraggio dei tracciati ECG della paziente nel corso di un intervento chirurgico e nel non tempestivo rilevamento delle complicanze cardiache insorte per asistolia, ed i gravi danni cerebrali procurati alla stessa in conseguenza del ritardo con cui era stato eseguito il massaggio cardiaco.

In altre parole ciò che insegna la Cassazione è che, per poter giungere ad una sentenza di condanna, bisogna essere in grado di poter affermare, in termini di “certezza processuale”, ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica che sia stata proprio quella condotta omissiva a determinare l’evento lesivo (relativa ad un caso di colpa professionale di responsabilità medica,  per omessa, precoce, diagnosi di neoplasia polmonare determinata da superficiale o errata lettura del referto radiologico, per la quale la Corte ha ritenuto sussistente il nesso di causalità pure in mancanza di indagine autoptica).

La sentenza impugnata sebbene dia conto del parere espresso dai consulenti, e mette a confronto il sapere scientifico introdotto nel processo, sembra non tenere conto del principio espresso dalla Cassazione che, Sez. 4, ha specificato che una motivazione che tralasci di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, di valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, o di specificare di quale forma di colpa si tratti, se di colpa generica o specifica, eventualmente alla luce di regole cautelari racchiuse in linee-guida, se di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza, ma anche una motivazione in cui non sia appurato se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali non può, oggi, essere ritenuta satisfattiva nè conforme a legge.

Gli eventi:

La paziente, gravida alla trentasettesima settimana di due gemelli, si ricoverava alla Clinica nella data concordata con il medico, suo ginecologo di fiducia (che l’aveva seguita durante tutto il periodo della gravidanza) per eseguire il parto cesareo programmato.
All’arrivo in clinica la ginecologa di turno si rese conto della gravità della situazione (la pz. presentava condizioni generali gravi, una gestosi ed una epatogestosi grave con necrosi tissutale e pressione arteriosa alta mentre di uno dei feti non si avvertiva il battito) per cui decise di procedere immediatamente al parto cesareo, previa anestesia spinale subaracnoidea.
Dopo poco tempo la donna perse coscienza ed ebbe un arresto cardiocircolatorio. Praticate le manovre rianimatorie, le funzioni cardiache ripresero, per cui vennero estratti i feti, di cui uno solo vivo, l’altro morto per “nodo vero” del cordone ombelicale.
Subito dopo la donna ebbe altri due arresti circolatori per cui venne trasferita d’urgenza all’ospedale dove la paziente morì senza essere stata mai dimessa dal reparto di terapia intensiva.

L’errore motivazionale dei giudici di merito:

Il giudice di primo grado aveva individuato le medesime cause sia per la morte della paziente che di uno dei due gemelli, affermando che vi erano chiare indicazioni per anticipare il taglio cesareo e per ampliare la base degli accertamenti strumentali e che, anticipando il cesareo, la paziente non sarebbe giunta in clinica in condizioni di cianosi e dispnea ed il nodo del funicolo ombelicale non si sarebbe strozzato, così che non sarebbe morto neanche il feto di una delle due gemelle.

La Corte d’appello invece differenzia le due morti.

Dalla documentazione in atti, in particolare dai tracciati eseguiti ed esaminati non emergono assenza di decelerazioni, tachicardia o bradicardia di entità tali da ritenere che vi fosse una sofferenza fetale e anche dal controllo ecografico i due gemelli presentavano segni di benessere fetale, interpretati da un punto di vista visivo e pressochè sovrapponibile, circostanza che non sarebbe emersa se uno dei due fosse stato in una situazione ipossica. Non vi erano, dunque, i presupposti per sottoporre a tracciato continuo la pz. che comunque, era stata con riguardo ai tracciati esaminati, correttamente monitorata.

Il buon accrescimento del feto porta ad affermare con tranquillità che l’unica differenza tra i due gemelli era la presenza del nodo vero per uno di essi; tale è una patologia imprevista ed imprevedibile, determinata dalla chiusura del cordone ombelicale che fino a quel momento aveva funzionato correttamente. La pz.non era in una situazione di travaglio da parto, condizione nella quale il danno cordonale può essere anche prevedibile, attese le contrazioni ravvicinate; diversamente, al di fuori del travaglio, invece,è un evento  lo strozzamento per attorcigliamento del cordone ombelicale assolutamente imprevedibile, legato ai movimenti del feto che lo possono portare a stringere il cordone nella sua attività spontanea.

Secondo la Corte d’appello, non essendo la pz. in fase di travaglio, l’evento non solo era assolutamente imprevedibile ma neppure diagnosticabile attraverso particolari indagini nè attraverso la flussometria.

Tale accertamento è una tecnica diagnostica che ha come scopo principale quello di valutare le condizioni di salute del feto, che potrebbero portare ad un ritardo nella crescita fetale e successivamente ad asfissia fetale, ma non è utile a prevedere eventi traumatici acuti, come ad esempio quelli derivanti da distacco della placenta o da patologie del funicolo. Le morti fetali legate a quest’ultimi eventi (così come da letteratura scientifica) non sono nè prevedibili nè quindi evitabili . Alla luce di tali considerazioni non si può addebitare all’imputato una condotta colposa omissiva, in ordine all’evento morte di uno dei due gemelli.

I giudici del gravame del merito, invece, convalidano l’affermazione di responsabilità del giudice di primo grado quanto alla morte della pz. ma, sul punto, la dichiarata imprevedibilità ed inevitabilità di quanto accaduto in sala parto, che ha portato alla morte del feto, renda contraddittorie talune delle conclusioni che hanno portato a confermare la condanna per la morte della paziente.

La Cassazione

La Suprema Corte, utilizzando una formula motivazionale innovativa, obietta che la Corte d’appello ha erratto il thema decidendum che sarebbe dovuto essere sotteso agli interrogativi: all’esito del tracciato presso lo studio dell’imputato era in una situazione tale che imponeva di anticipare il taglio cesareo programmato due mesi più tardi? Lo prescrivevano linee guida e/o prassi accreditate in materia in presenza di una donna obesa ed ipertesa che aveva una brutta bronchite? Era già stata diagnosticata la gestosi?
E, sulla scorta delle Sezioni Unite Franzese, anticipare di due giorni il taglio cesareo avrebbe evitato alla donna con alto grado di credibilità razionale l’insorgenza degli arresti cardiaci? E questi in cosa trovano la loro causa: nella gestosi? Nell’ipertensione?

La Cassazione ha chiarito che la rilevanza giuridica delle linee guida – seppur esse continuino a costituire raccomandazioni di comportamento clinico e seppure la loro individuazione spesso costituisce un’operazione tutt’altro che agevole, anche perchè la L. n. 189 del 2012 si riferisce alle “linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica “, omettendo di offrire alcun criterio di determinazione delle stesse – risulta rafforzato dopo l’intervento della legge Balduzzi, e che è doveroso mettere in luce che, qualora si volesse far assumere loro un valore di “parametro di giudizio”, l’esatta individuazione delle specifiche linee guida cui l’operatore sanitario deve attenersi rappresenta necessariamente un passaggio fondamentale (responsabilità medica).
Ciò posto la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perchè il reato è estinto per prescrizione.

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