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Responsabilità medica e diagnosi differenziale

responsabilità medica

Al medico non basta individuare la patologia esistente se non è in grado di escludere la patologia alternativa

 

Il caso:

La Corte di appello confermava la sentenza di primo grado con cui di direttore della clinica Ostetrica e Ginecologica ed il collega responsabile del reparto di Urologia venivano assolti dall’accusa di aver cagionato alla persona offesa lesioni personali per colpa consistita in negligenza  imprudenza ed imperizia per aver sottoposto la paziente ad un intervento chirurgico di isterectomia totale per via laparoscopica per una sospetta endometriosi senza che sussistesse alcuna indicazione, omettendo di compiere preliminarmente gli accertamenti strumentali, quali una risonanza magnetica dello scavo pelvico e una ecografia transvaginale con sonda ad alta frequenza che avrebbero consentito di formulare una diagnosi medica corretta e sicura, o comunque di escludere l’esistenza della suddetta patologia;

nel portare a termine l’isterectomia nonostante fosse evidente, fin dal ispezione preliminare del campo operatorio l’assenza della patologia endometriosica sospettata; nell’omettere di individuare correttamente gli ureteri nel corso dell’intervento, eventualmente anche attraverso l’inserimento di due cateterini uretrali, cagionando così una lesione uretrale destra con conseguente instaurazione di un quadro di addome acuto e l’insorgenza di una fistola uretero vaginale:

Lesione dalla quale derivava per la persona offesa la necessità di sottoporsi ad un ulteriore intervento chirurgico di ureterocistoneostomia destra con ancoraggio della vescica al muscolo psoas con l’apposizione di un catetere ureterale a doppio J e svuotamento dell’urinoma, dal quale derivano per la persona offesa, a seguito di condotta colposa del medico (responsabilità medica), consistita nell’inglobare in una sutura strozzante il nervo genitofemorale durante le manovre di ancoraggio dell’uretere al muscolo psoas e nell’utilizzare punti di ancoraggio della vescica al muscolo psoas eccessivamente profondi – le seguenti lesioni:

lesione della branca genitale del nervo genitofemorale e del nervo femorale, sindrome dolorosa pelvica, sindrome disurica, difficoltà defecatoria, dispareunia, reflusso vescico-ureterale, sindrome fibromialgica di tipo secondario, Sindrome di Sjogren e paresi dell’arto inferiore destro con difficoltà della deambulazione.

Da tali lesioni derivava per la parte offesa l’insorgenza di una malattia insanabile e un indebolimento permanente dell’organo della deambulazione.
La Corte di Appello disponeva una perizia medico – legale incaricando un collegio di esperti nelle varie discipline sanitarie che evidenziava la difficoltà di stabilire la diagnosi di endometriosi e l’inutilità di una terapia farmacologica, non prescrivibile per un tempo superiore a mesi sei, riconoscendo l’imprevedibilità della lesione ureterale, le cui percentuali di complicanze erano molto maggiori dello 0%-3%.

La Corte d’appello pur riconoscendo la sussistenza del nesso di causalità tra l’esecuzione dell’intervento chirurgico e la lesione dell’uretere, ha escluso che la condotta del sanitario fosse connotata da colpa per negligenza o per imperizia, per errori nella diagnosi o nell’esecuzione dell’intervento.

Il consulente di parte civile al contrario ricollegava una parte delle patologie da cui risultava affetta la paziente (in particolare la patologia neurologica a carico dell’arto inferiore destro) anche al primo intervento di isterectomia totale per via laparoscopica, al quale era stata sottoposta in modo avventato ed imprudente, a causa dell’omessa corretta valutazione, sotto i profili anamnestico e diagnostico, dei disturbi riferiti dalla paziente, non considerando come diagnosi differenziale alla “sospetta endometriosi ed adenomiosi”, “la sindrome da dolore pelvico cronico” e, soprattutto, omettendo di compiere accertamenti strumentali preliminari, quali una risonanza magnetica dello scavo pelvico o una ecografia trans-vaginale con sonde ad alta frequenza, che avrebbero consentito a priori di escludere l’esistenza di una patologia endometriosica (come, in seguito, accertatosi in esito all’esame istologico dell’utero) e la necessità di operare.

Imputava al succitato chirurgo di aver cagionato alla paziente, in corso di intervento di isterectomia laparoscopica, una lesione dell’uretere destro, con conseguente instaurazione di un quadro di addome acuto ed insorgenza di una fistola uretero-vaginale; lesione che poteva essere evitata, ponendo in essere manovre ed accortezze volte ad evitare il verificarsi di tale evento lesivo.
Secondo i consulenti del P.M., l’opzione terapeutica scelta (isterectomia) e la tecnica adoperata (laparoscopia) erano state corrette ed appropriate al caso di specie.

Quanto, poi, alla lesione ureterale conseguente all’isterectomia laparoscopica, i succitati specialisti concordavano nel ritenere che la stessa rappresentava una complicanza non prevenibile della chirurgia ginecologica (posto che la collocazione anatomica degli ureteri, per gli stretti rapporti con l’area pelvica, li rendeva suscettibili di danno iatrogeno in corso di intervento chirurgico) non imputabile a colpa del chirurgo esecutore.

Anche i consulenti degli imputati pervenivano a conclusioni non dissimili a quelle formulate dai consulenti del P.M., avendo ritenuto gli interventi di isterectomia laparoscopica e di ureterocistoneomia appropriati ed eseguiti dai rispettivi chirurghi in modo congruo e scevro da errori tecnici e non escludendo che la patologia neurologica a carico dell’arto inferiore della U. costituisse una conseguenza della “sindrome di Sjogren”, malattia neurologica autoim-mune dalla quale la stessa risultava essere affetta, sin dall’anno 2006.

Alla luce di tali contrastanti esiti peritali, la Corte di appello disponeva quindi una perizia medico-legale ai sensi dell’art. 603 c.p.p., incaricando un collegio di periti esperti nella materia di interesse – un ginecologo, un urologo e un medico legale – di accertare cause e responsabilità dell’evento lesivo e ha recepito le conclusioni alle quali erano pervenuti per l’accuratezza e completezza scientifica del lavoro svolto, rilevando che dal punto di vista tecnico l’intervento d’isterectomia rappresentava l’unica strada ragionevolmente percorribile per la risoluzione delle problematiche descritte dalla paziente, che giungeva all’attenzione dell’operatore con una sintomatologia di perdite ematiche e dolori pelvici persistenti anche a posteriori di un precedente intervento di adesiolisi.

Veniva quindi ritenuto certo il nesso di causalità tra la condotta operatoria e la lesione dell’uretere ma veniva escluso che tale condotta fosse connotata da colpa per negligenza e o per imperizia.

La Corte d’appello non rilevava l’esistenza di un errore colpevole diagnostico (l’utero comunque presentava una “fibro-leio-miomatosi uterina” che rendeva indicata l’asportazione) e di un errore colpevole nell’esecuzione dell’intervento, osservando che la lesione ureterale costituisce una delle più frequenti complicazioni legate all’intervento d’isterectomia addominale ed endoscopica, come descritto ampiamente nella letteratura specialistica richiamata dai periti.

Il nesso causale tra l’intervento d’isterectomia laparoscopica ed il danno ureterale destro era certo, ma la lesione aveva rappresentato una complicazione imprevedibile, verificatasi nell’impiego seppur corretto dello strumento chirurgico.

Il giudizio della Cassazione:

La Suprema Corte annullava in parte la sentenza della Corte d’appello per carenza motivazionale della perizia elaborando il principio per cui il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell’arte medica da lui esigibili, di escludere la patologia alternativa, proseguendo gli accertamenti diagnostici ed i trattamenti necessari.

In tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi.
La prevedibilità consiste nella possibilità di prevedere l’evento che conseguirebbe al rischio non consentito e deve essere commisurata al parametro del modello di agente, dell’homo eiusdem professionis et condicionis, arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze.

Secondo la Cassazione la perizia collegiale non ha affrontato le problematiche sopra esposte relative alla possibilità di praticare terapie curative ed esami al fine di individuare la patologia, alla scelta di procedere ad un intervento chirurgico pericoloso nonostante tali carenze nella diagnosi ed alla possibilità di prevenire l’aumento del rischio grazie ad un approfondimento preventivo del caso.

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