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Frode carosello: Quando il carosello non fa ridere

frode carosello

La frode carosello consiste in passaggi di beni tra società appartenenti a Stati diversi al fine di evadere le tasse.

In caso recente affrontato dalla Cassazione la società Alfa – esportatore abituale di prodotti di telefonia all’interno dell’Unione Europea e quindi potendo operare con operazioni fuori campo IVA – acquistava presso la società Beta ingenti quantitativi di materiale di telefonia.
Con un piccolo dettaglio: le società Alfa e Beta avevano – quindi anche peccando di un minimo di creatività – la stessa sede, lo stesso magazzino e la stessa proprietà e gestione.

La società Alfa maturava così un consistente credito IVA e procedeva a vendere senza IVA quanto acquistato presso la società Beta con un basso ricarico – addirittura con un prezzo più basso di quanto pagato a Beta – alla società Gamma con sede fiscale in un Paese dell’Unione Europea.
Successivamente Gamma, tramite società definite semplici “cartiere” da parte della Guardia di Finanza, provvedeva a rifornire la stessa società Beta, da cui era partito il “carosello”.

Come si individuano le società “cartiere”?

I Quaderni dell’Antiriciclaggio (dicembre 2020, n. 15) dell’UIF (Unità di informazione finanziaria) titolato “Un indicatore sintetico per individuare le società cosiddette cartiere” definisce società cartiere le imprese che emettono fatture per operazioni inesistenti consentendo a imprese produttive di utilizzarle sia a fini di evasione fiscale, indicando in bilancio costi inesistenti, sia a fini di riciclaggio o per altri scopi illegali e fissa degli “indicatori” per individuarle.
In parole povere si tratta di società “stampatrici” di documenti contabili.

Come funzionava la frode carosello?

Nel caso di cui si discute la merce che appariva provenire dalla società Gamma transitava solo formalmente dalle società “cartiere” ma in realtà andava a fornire direttamente la società Beta che poi immetteva i prodotti nella grande distribuzione.
Vi era così un transito apparente delle merci dalla società Beta alla società Alfa alle società “cartiere” ed infine di nuovo a Beta. Tale meccanismo consentiva in realtà a Beta ed Alfa (società facenti capo ai medesimi soggetti) di compensare l’IVA, di maturare tramite Alfa un notevole credito d’imposta nonchè di mantenersi competitivi sul mercato della telefonia con prezzi ribassati.

Esito del processo:

Il processo aveva un esito curioso. Difatti se l’amministratore della società Beta veniva assolto, l’amministratore di fatto della stessa società veniva condannato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
Promosso il giudizio di revisione, la Suprema Corte, dichiarando inammisibile il ricorso, elaborava il principio per cui non è ammessa la revisione della sentenza di condanna fondata sugli stessi elementi probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione nei confronti di un concorrente nello stesso reato e pronunciata in un altro procedimento, perchè la revisione è finalizzato a modificare l’errore solo sulla ricostruzione del fatto e non sulla valutazione dello stesso

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