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BANCAROTTA: PICCOLI “MADOFF” CRESCONO

frode carosello

Chi non conosce la storia di Bernie Madoff, il finanziere newyorkese che, modernizzando lo “Schema Ponzi”, ha truffato migliaia di persone e si è beccato, con la vigente normativa statunitense, il massimo della pena pari a 150 anni di carcere.

Madoff è stato giudicato colpevole di undici capi di accusa (felony charges), tra cui frode su titoli, frode da parte di consulenti finanziari, frode postale, frode telematica, tre capi d’accusa per riciclaggio di denaro, false dichiarazioni, falsa testimonianza, falsi depositi presso la “Securities and Exchange Commission” e frode previdenziale verso i dipendenti (https://www.justice.gov/usao-sdny/programs/victim-witness-services/united-states-v-bernard-l-madoff-and-related-cases).

Lo Schema Ponzi che ha ispirato la gigantesca truffa è stato inventato da un immigrato italiano negli USA, Charles Ponzi, e permette a chi comincia la catena e ai primi investitori di ottenere altissimi ritorni economici a breve termine, pagati con le somme versate da nuovi ignari investitori ingolositi dagli elevati introiti.

In un caso simile affrontato dalla Cassazione veniva rilevato che le attività finanziarie dei clienti erano state oggetto di un’inversione del possesso tra due società di investimento tra loro collegate, Alfa e Beta, con le risorse economiche dei clienti della società Alfa utilizzate per operazioni di “rimborso” di clienti della società Beta e ciò avveniva in assenza di qualsiasi prova che alla clientela erano state fornite informazioni circa la destinazione delle operazioni.

L’art. 21 comma 1 lett. b) TUF stabilisce infatti che nelle operazioni di investimento i soggetti abilitati devono informare “chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse” e quindi, la dedotta esistenza del consenso dei clienti alla utilizzazione degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide, non escludeva, secondo la Suprema Corte, l’attribuibilità al patrimonio del soggetto in liquidazione coatta amministrativa dei beni dallo stesso gestiti, in qualsiasi modo essi siano stati ottenuti, tanto più che le indebite utilizzazioni di titoli o denaro degli investitori hanno determinato la loro confusione nel patrimonio dell’intermediario e l’idoneità a formare oggetto di distrazione.

Bisogna ricordare che la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa e, dunque, la sottrazione alla garanzia ai creditori di cespiti attivi effettivi.

Nel caso trattato, considerato che i titoli dei clienti della società Beta erano obbligazioni praticamente illiquide di valore nominale pari a 200 milioni di Euro, la Cassazione rilevava che i versamenti fatti dai clienti erano stati effettuati solo a favore della società Alfa e non della società Beta, pertanto dall’importo totale di circa 225 milioni di Euro complessivamente contestato a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione, dovevano essere defalcati i capitali “scudati” dei clienti di Beta, pari a circa 200 milioni di Euro.

Quindi gran parte dei “presunti titoli” gestiti dalla società Beta, essendo solo un’artificiosa creazione dell’imputato, dovevano considerarsi inesistenti sul piano dell’effettivo valore economico, non potendo quindi formare oggetto di distrazione e facendo cosi venir meno l’elemento oggettivo del reato.

La Corte difatti annullava sul punto la sentenza con rinvio per un nuovo giudizio.

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