Il sig. P., latitante albanese con numerosi precedenti penali, veniva attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere in quanto, già in precedenza espulso dal territorio dello Stato mediante accompagnamento coattivo alla frontiera, veniva arrestato nel porto di B. mentre cercava di rientrare in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera.
Tratto a giudizio per rispondere del reato di traffico di opere d’arte e cocaina, l’imputato, difeso dall’Avv. Gianfranco Rotondo, dapprima chiedeva ed otteneva la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari e – dopo due giorni dall’ordinanza di sostituzione della predetta misura cautelare – otteneva l’immediata e definitiva scarcerazione da parte del Tribunale del Riesame di A..
Ed invero, come eccepito dalla difesa, non pervenivano al Tribunale del Riesame atti ulteriori e diversi rispetto all’ordinanza applicativa della misura coercitiva e alla richiesta del PM che l’aveva preceduta, mancando così sia la comunicazione della notizia di reato, sia le diverse informative conseguenti, sia, soprattutto, le conversazioni intercettate (dalle quali sarebbero scaturiti proprio i gravi indizi di colpevolezza sulla base dei quali il GIP aveva emesso l’ordinanza di misura coercitiva).
Da ciò scaturiva la perdita di efficacia dell’ordinanza che aveva disposto la misura coercitiva, con conseguente immediata scarcerazione dell’imputato.
Il sig. L. veniva attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di maltrattamenti in famiglia per aver sottoposto la convivente more uxorio ed i figli minori a continui maltrattamenti, ad un regime di vita particolarmente penoso e vessatorio e perché poneva in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere la propria convivente a versargli somme di danaro al fine di procurare a sé un ingiusto profitto.
Nello specifico, la persona offesa, riferiva ai Carabinieri della Stazione A. di esser stata sottoposta per circa due anni a maltrattamenti da parte di L.C., il quale – soprattutto a causa dell’abuso di alcolici – la ingiuriava e la maltrattava, minacciandola altresì di portar via i figli con sé in Romania. Inoltre il sig. L. le chiedeva ripetutamente somme di danaro.
Con ordinanza il GIP di B., a seguito dell’istanza formulata dall’Avv. Gianfranco Rotondo, dapprima sostituiva la custodia cautelare in carcere con quella – più attenuata – del divieto di dimora nel comune di residenza del L., salvo poi, all’esito di ulteriore istanza, disporre la completa liberazione dell’indagato.
In seguito alla querela sporta dalla moglie e dal figlio del sig. M., deceduto presso l’Ospedale di B., venivano svolti dai consulenti tecnici e dai consulenti di parte accertamenti autoptici, istologici, diagnostici al fine di fare chiarezza sulle cause del decesso.
Dalla ricostruzione precisa, attenta e dettagliata di tutta la vicenda sanitaria, secondo il P.M. ed i consulenti tecnici nominati, non si ravvisavano condotte dei sanitari intervenuti rivelatesi inadeguate, negligenti o contrarie ai dettami e protocolli diagnostici e terapeutici che andavano adottati nel complesso caso.
Ed invero, la morte di M. avveniva per uno “scompenso multi organo secondario ad una febbre di origine sconosciuta in soggetto affetto da iperpiressia continuo/remittente, resistente alla terapia, da insufficienza epatorenale e da episodi recidivanti di ischemia miocardica transitoria”.
Orbene, esente da profili di qualsivoglia responsabilità era da ritenersi la condotta di tutti i sanitari e per detti motivi il procedimento veniva archiviato ai sensi dell’art. 554, primo comma c.p.p..
Il sig. S., pluripregiudicato, veniva attinto da ordinanza di misura cautelare in carcere con ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di B..
Ed invero, il sig. S. veniva arrestato perché, sebbene sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con l’obbligo di soggiorno, veniva sorpreso in flagranza di reato dai Carabinieri di B. mentre si intratteneva all’interno del cortile condominiale in compagnia di numerosi soggetti, la gran parte dei quali gravati da precedenti penali, anche recenti, di un certo allarme sociale.
All’udienza di convalida dell’arresto in flagranza di reato l’imputato otteneva, tramite l’Avv. Gianfranco Rotondo che prospettava al GIP le novità legislative in materia di adozione delle misure cautelari restrittive con la prognosi della massima pena applicabile, l’immediata scarcerazione con la sola prescrizione dell’obbligo di presentazione da parte del sig. S. al vicino presidio di p.g.
Il sig. S. veniva tratto in arresto con ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di B..
Il sig. S. veniva arrestato per aver violato l’art. 12 del D.lgs. 286/98 perché, in violazione delle norme relative alla disciplina dell’immigrazione, effettuava il trasporto nel territorio dello Stato di quattro cittadini siriani che venivano rinvenuti rinchiusi all’interno del vano cuccetta del tir da egli condotto e proveniente dalla Grecia.
L’imputato – difeso dall’Avv. Gianfranco Rotondo – chiedeva ed otteneva la scarcerazione in virtù dell’applicazione della normativa che aveva appena novellato la materia delle misure cautelari con un positivo giudizio prognostico sulla pena finale applicabile.
Ciò posto, il GIP, scarcerava immediatamente il S. e sostituiva la misura cautelare della detenzione in carcere con quella del divieto di dimora nelle regioni Puglia, Molise, Marche, Emilia Romagna e Veneto.
Con decreto di citazione il GUP presso il Tribunale per i Minorenni di B. citava il minore V. perché rispondesse del reato di calunnia poichè, sapendolo innocente, accusava A. dei reati di cui agli articoli 612 e 581 c.p.: in particolare sporgeva querela presso la stazione Carabinieri di A. nei confronti di A. affermando che lo stesso “gli metteva la sua mano al collo, spingendolo verso il muro e poi gli sferrava due ceffoni al viso e con tono minaccioso diceva se parli ancora ti ammazzo”.
Durante il dibattimento l’imputato depositava consulenza informatica redatta dai consulenti nominati dall’Avv. Gianfranco Rotondo che smentivano le dichiarazioni rese dai numerosi testimoni dell’accusa, non potendosi così provare la penale responsabilità dell’imputato V.
Nello specifico, le dichiarazioni rese da tutti i testi offrivano due versioni degli accadimenti totalmente divergenti tra loro ma entrambe verosimili e soprattutto, il principale teste d’accusa, citato ai sensi dell’art. 507 c.p.p., non poteva essere sentito, come eccepito dalla difesa, in quanto escusso in violazione degli artt. 63 e seguenti del c.p.p..
Alla luce di ciò, nell’impossibilità di giungere ad una dichiarazione di colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, anche alla luce della perizia informatica su conversazione Facebook prodotta dalla difesa e dell’impossibilità giuridica di sentire il testimone principale dell’accusa, l’imputato veniva assolto per insussistenza del fatto.
Il sig. C. veniva citato in giudizio per l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi in quanto, al fine di trarne profitto, introduceva sul territorio nazionale prodotti industriali con marchio contraffatto nel vano portabagagli della sua vettura.
All’esito del procedimento l’imputato chiedeva la pronuncia di sentenza di assoluzione.
Ed invero, come proposto dalla difesa, poiché la prova dei fatti contestati deve essere certa, il difetto di dimostrazione circa l’effettiva messa in commercio dei capi contraffatti non consentiva di affermare la penale responsabilità dell’imputato difeso dall’Avv. Gianfranco Rotondo.
Per detti motivi il sig. C. veniva assolto per insussistenza del fatto.
Il sig. F. veniva citato in giudizio per il reato di furto in quanto, al fine di trarne profitto, prelevava da un distributore automatico, dopo averlo scassinato, le somme presenti e se ne impossessava, con l’aggravante di aver commesso il fatto con violenza sulle cose (per avere forzato il distributore automatico esposto alla pubblica fede).
Tratto a giudizio ed all’esito dell’istruzione dibattimentale l’imputato chiedeva la pronuncia di sentenza di assoluzione a fronte della richiestada parte del PM di condanna a sei mesi di reclusione.
Nel caso di specie, venivano escussi in qualità di testimoni gli agenti della Polizia di Stato intervenuti in flagranza di reato, i quali riferivano di aver sorpreso l’imputato intento a sferrare calci e pugni contro il distributore, di averlo fermato e di aver eseguito una perquisizione personale all’esito della quale erano state rinvenute somme di danaro.
Durante l’esame testimoniale in dibattimento, però, sollecitati dall’Avv. Gianfranco Rotondo, difensore dell’imputato, i testimoni precisavano che non avevano effettivamente visto l’imputato mentre prelevava denaro dal distributore.
Alla luce di ciò, obiettava la difesa, in mancanza di prova certa circa la circostanza che, in seguito alla violenza dispiegata contro la macchina erogatrice sia stato possibile effettuare il prelievo di denaro ivi contenuto da parte dell’imputato, occorreva dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e cioè di “danneggiamento” (art. 635 c.p.), per cui tuttavia difettava la condizione di procedibilità.
Il Tribunale di B. sposava appieno le tesi difensive ed assolveva il F. dal reato ascritto, pur essendo stati i fatti accertati in flagranza dagli agenti della Polizia di Stato di B.
MOSPALIMI I DEDUKSIONEVE T SEC SIGURIS SHOQRORE
Il sig. D. veniva citato in giudizio in ordine ai reati di cui agli articoli 81 c.p. e 2, comma 1bis L. 638/83 (misure urgenti in materia previdenziale) in quanto, quale legale rappresentante della ditta C., ometteva di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali per un totale di € 200.678,00 operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.
Veniva incardinato il procedimento e l’imputato, rinunciando alla prescrizione già maturata attraverso il difensore, chiedeva emettersi pronuncia di sentenza assolutoria per non aver commesso il fatto.
Nel caso di specie, dalla documentazione prodotta in giudizio dalla difesa emergeva che all’epoca dei fatti l’imputato rivestiva, in effetti, la qualifica di dipendente della ditta C. e non quella apicale di datore di lavoro, così come erroneamente accertato dall’accusa.
Per detti motivi il sig. D. – difeso dall’avv. Gianfranco Rotondo – veniva assolto per non aver commesso il fatto e nessun risarcimento veniva disposto in favore dell’ente previdenziale.
Con decreto di giudizio immediato, il sig. L. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art 4, commi 1, 4 bis, 4 ter, l. n. 401/1989, 88 R.D. 18.6.1931, N. 773, perché, nella sua veste di gestore/titolare dell’esercizio commerciale “CED-Internet Point”, poneva in essere l’esercizio abusivo di raccolta scommesse o concorsi pronostici su attività sportive calcistiche (gestite dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato e dal Coni) nazionali ed estere, nonché l’intermediazione di giocate, il tutto in mancanza della “licenza di polizia” prevista dall’art. 88 TULPS, della autorizzazione del Ministero delle Comunicazioni e della prescritta autorizzazione e/o concessione.
Il giudice del Tribunale di B., accogliendo le tesi difensive dell’Avv. Gianfranco Rotondo, in ordine alla discriminazione subita dal gestore estero P. da parte dello Stato italiano, assolveva il L. dalle imputazioni ascrittegli, avendo con precedente e separato provvedimento già disposto la restituzione di quanto sequestrato dalla Guardia di Finanza di B..
Il sig. M. veniva citato in giudizio in ordine ai reati di truffa e sostituzione di persona perché, mediante artifici e raggiri, induceva in errore A. che eseguiva un accredito sulla carta Postepay senza che il M. eseguisse mai la consegna del lettore CD proposto in vendita on line, così procurandosi il vantaggio dell’illecito conseguimento delle somme di denaro con pari danno per la vittima. Inoltre, si attribuiva il falso nome di R. con i cui documenti attivava a suo nome la carta Postepay su cui faceva confluire il provento della vendita predetta.
All’esito dell’iter processuale il Giudice presso il Tribunale di Bari disponeva non doversi procedere nei confronti del M. difeso dall’Avv. Gianfranco Rotondo.
Nessun risarcimento veniva disposto in favore della persona offesa A.
Ngacmimi kondominium
Con decreto di giudizio immediato, i signori M. e D. venivano tratti in giudizio in ordine al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone in quanto, a detta della sig.ra P., quest’ultima veniva disturbata nel proprio riposo pomeridiano dal suono del pianoforte proveniente dall’abitazione degli imputati.
Tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di T. gli imputati chiedevano acquisizione di documentazione e assunzione di testimoni. Al termine dell’istruttoria dibattimentale, imputati, difesi dall’Avvocato penalista Gianfranco Rotondo, venivano assolti per difetto degli estremi oggettivi della contestazione.
Ed invero, per potersi avere il reato di cui all’art. 659 c.p., deve essere provata l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone (Cass. Pen. 246/2009): nel caso di specie, invece, veniva dimostrato che i rumori (seppur possa parlarsi in tali termini con riferimento ai suoni musicali prodotti dagli imputati) erano idonei ad arrecare disturbo solo alla persona offesa.
Per detti motivi i coniugi M. e D. venivano assolti perché il fatto non sussiste.
Il sig. M. veniva citato in giudizio per i reati di ingiuria e lesione personale perché, con spintoni, schiaffi e pugni procurava a L. gravi lesioni e lo minacciava al fine di dissuaderlo a sporgere denuncia nei suoi confronti e a non raccontare a nessuno l’accaduto.
All’esito dell’iter processuale il Giudice disponeva non doversi procedere nei confronti dell’imputato e nessun risarcimento veniva disposto in favore della parte civile.
Il sig. M. veniva citato in giudizio in ordine al reato di ricettazione in quanto, al fine di conseguire un ingiusto profitto acquistava o comunque riceveva il furgone Iveco provento di furto nonché vario materiale informatico ed elettrico di sicura provenienza delittuosa.
Il furgone Iveco ed il materiale informatico venivano sottoposti a sequestro.
Nel caso di specie, venivano escussi in qualità di testimoni gli agenti della Sezione Volanti della Poliza di Stato intervenuti in flagranza di reato.
Alla stregua delle risultanze dibattimentali non solo non emergeva la provenienza illecita del furgone e del materiale oggetto di sequestro ma, altresì, che a commettere i fatti sia stato l’imputato.
Nello specifico, non si è raggiunta la prova adeguata in ordine alla sussistenza del delitto oggetto di contestazione e soprattutto non è certa la commissione ad opera dello stesso imputato del reato di ricettazione della merce.
Per detti motivi il sig. M. – difeso dall’Avv. Gianfranco Rotondo – veniva assolto per non aver commesso il fatto.
Il PM aveva chiesto la condanna ad un anno e sei mesi di reclusione.
Il sig. M. veniva citato in giudizio per rispondere del reato di sostituzione di persona perché, al fine di procurarsi il vantaggio di navigare senza il controllo di altri sul sito internet di compravendita EBAY e riscuotere le somme provenienti dalla vendita dei prodotti che poneva in vendita, faceva uso dei documenti di identità di R. – all’oscuro di tutto – e così attivando la carta Postpay intestata sempre al R. inducendo in errore i terzi acquirenti e facendo confluire gli importi degli acquisti sulla citata carta.
Veniva incardinato il procedimento e l’imputato chiedeva, tramite l’Avv. Gianfranco Rotondo, non doversi procedere per prescrizione del reato
Il Tribunale di B. si riportava alle richieste della difesa e veniva riconosciuta la prescrizione del reato in favore del M. ai sensi degli articoli 129 codice di procedura penale e 157 del codice penale.
Il sig. C. veniva citato in giudizio per aver introdotto nel territorio nazionale prodotti industriali con marchio contraffatto.
L’imputato, difeso dall’Avv. Gianfranco Rotondo, chiedeva, all’esito del dibattimento, emettersi pronuncia assolutoria.
Non sarebbe emerso nel corso del dibattimento, secondo la difesa, la prova dei fatti certa, circa la falsità dei marchi dei prodotti introdotti nel territorio nazionale che esclude pertanto la possibilità di giungere ad una sentenza di condanna.
Nel caso di specie infatti, i marchi venivano descritti come presumibilmente contraffatti e non come sicuramente contraffatti.
In mancanza di prova certa, nonostante la flagranza del reato accertata dalla Guardia di Fiunanza di B. che procedeva al sequestro della merce, doveva concludersi, secondo la difesa, per l’assoluzione dell’imputato.
Per detti motivi il Tribunale di B. – sposando appieno le tesi difensive – assolveva il C. per insussistenza del fatto.
Al sig. G. veniva applicata la misura della custodia cautelare carceraria dal GIP del Tribunale di B. su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia per il reato di omicidio volontario, in concorso con il L., poi divenuto collaboratore di Giustizia, e il D. in danno del sig. R.,
Secondo l’accusa, corroborata rata dalle dichiarazioni del pentito L., il R. venne trucidato con diciassette colpi di kalashnikov in quanto ritenuto responsabile della rapina compiuta ai danni dell’imputato, esponente di spicco della malavita organizzata, e della moglie P..
Gli agenti della squadra mobile notificavano in carcere ordinanza di custodia cautelare in carcere a G., ritenuto mandante dell’ omicidio, e a D., rispettivamente detenuti nel carcere di P. e C.. Venivano avviate le procedure di rogatoria per P., detenuto in Spagna. Le indagini non hanno mai chiarito se la vittima avesse commesso o meno la rapina per la quale, secondo le indagini, ha pagato con la vita.
Il G., tratto in arresto, faceva ricorso al Tribunale del Riesame di B. che disponeva l’immediata revoca della custodia cautelare in carcere, difettando i requisiti previsti dagli articoli 273 e seguenti c.p.p. come eccepito dalla difesa in sede di ricorso.
All’esito del giudizio il Tribunale di B., che valorizzava l’annullamento della misura cautelare disposto dal Tribunale del riesame, l’imputato veniva assolto dal reato di omicidio volontario.
Il Pubblico Ministero aveva chiesto la condanna all’ergastolo.
Il minore F. veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale per i Minorenni di B. per rispondere del reato di ricettazione perchè, unitamente ai signori P. e M., veniva fermato e identificato da agenti della sezione volanti della Polizia di Stato, dopo una rocambolesca fuga sul lungomare di B., a bordo di un’autovettura rubata.
All’esito dell’istruzione dibattimentale condotta dall’avv. Gianfranco Rotondo tuttavia non è stato possibile accertare il nesso di pertinenzialità fra l’autovettura provento di furto e l’imputato che pertanto veniva assolto dall’imputazione ascrittagli.
I signori P. e M., patrocinati da altro difensore, venivano condannati alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno.
Con decreto di giudizio immediato, il sig. M. veniva tratto a giudizio in ordine al reato di cui all’art. 17 TULPS in quanto, in qualità di titolare della ditta P. ometteva di esporre la tabella dei giochi proibiti.
All’esito del giudizio l’imputato chiedeva emettersi pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Il reato ascritto all’imputato, difatti, era da ritenersi, come prospettato dall’Avvocato penalista Gianfranco Rotondo, una contravvenzione, e non un delitto, soggetta al termine di prescrizione di 4 anni, termine prescrizionale che doveva intendersi maturato essendo state le condotte accertate nel 2011.
Per detti motivi veniva dichiarata la prescrizione del reato dal Giudice monocratico del Tribunale di B.
I minori D. e L., già pregiudicati, venivano tratti a giudizio per rispondere del reato di estorsione in danno dei gestori della discoteca J. sita in C. ove, unitamente ad altri imputati maggiorenni, si recavano armati.
Il Tribunale per minorenni condannava i minori D. e L. alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione a seguito di istruzione dibattimentale condotta da altro difensore.
Tale sentenza tuttavia è afflitta da nullità assoluta, come posto all’attenzione della Corte di Appello di B. dall’Avv. Gianfranco Rotondo, subentrato nella difesa, non avendo il Tribunale di primo grado disposto la rinnovazione degli atti pur essendosi modificata, durante il dibattimento, la composizione del collegio giudicante.
La sig.ra G. veniva tratta in giudizio per rispondere del reato di danneggiamento aggravato in danno della nipote T. per aver divelto una ringhiera divisoria fra le due abitazioni confinanti.
La Corte di Appello di B., all’esito del gravame proposto dalla difesa, dichiarava la prescrizione del reato in favore dell’imputata G. difesa dall’Avv. Gianfranco Rotondo.
La società di calcio T. acquisiva il diritto a fruire delle prestazioni sportive del sig. D. dalla società G. All’esito delle rituali visite mediche tuttavia emergeva che il calciatore D. era affetto da “cardiomiopatia ipertrofica” e pertanto il T. procedeva alla rescissione unilaterale del contratto in violazione dell’accordo collettivo tra FIGC e Associazione Italiana Calciatori (AIC) e delle NOIF, come sostenuto dalla difesa.
Il Collegio Arbitrale, riunitosi presso la Lega Calcio in Milano ed adito da parte del calciatore D., accoglieva la domanda di quest’ultimo e disponeva la corresponsione di tutti gli stipendi arretrati oltre agli interessi maturati.
La sig.ra C., all’esito del processo alla criminalità organizzata radicata nel borgo antico della città di B., veniva condannata, difesa da altro difensore, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione per il reato di estorsione aggravato dal metodo mafioso.
L’avvocato Gianfranco Rotondo, intervenuto nel patrocinio difensivo successivamente alla sentenza ormai irrevocabile, proponeva incidente di esecuzione davanti alla Corte di Appello di B., per vedere accertato che la pena comminata alla C. era in realtà estinta in virtù dell’indulto previsto dalla Legge 31 luglio 2006 n. 241 essendo stata, da un lato, la condotta satellite consumata entro la data di applicabilità del beneficio e, dall’altro, il reato continuato una fictio juris che non può porsi in contraddizione con il principio del favor rei.
Il M., pluripregiudicato per reati contro il patrimonio, detenuto presso la casa circondariale di B. per scontare la pena definitiva ad un anno di reclusione (all’esito di giudizio per furto aggravato e difeso da altro avvocato) proponeva incidente di esecuzione per vedere riconosciuto il vincolo di continuazione tra i reati, tramite l’Avv. Gianfranco Rotondo, con riduzione di un terzo della pena e conseguente immediata liberazione anche in virtù del computo dei giorni di liberazione anticipata .