Oltraggio a pubblico ufficiale: Depenalizzato ma non troppo
Oggi affronteremo un caso trattato dal nostro Studio
Il caso:
La signora S., operatore socio sanitario, era imputata del reato di cui all’art. 341-bis codice penale perchè in luogo pubblico ed in presenza di più persone offendeva l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale appartenente alla Polizia Municipale durante la sua attività di istituto con minacce e insulti.
Il processo:
Nel corso della prima udienza davanti al giudice monocratico la difesa dell’imputata eccepiva la nullità del decreto penale di condanna, sulla scorta della pronuncia della Corte Costituzionale che aveva sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 460 codice procedura penale nella parte in cui non contiene l’avviso all’imputato della facoltà di poter accedere, oltre che ai riti alternativi, anche alla sospensione del procedimento per messa alla prova.
Obiettava la difesa dell’imputata che trattandosi peraltro di un procedimento cosiddetto “monitorio” i diritti difensivi dell’indagato/imputato sono già compressi per cui omettendo tale avviso vengono ulteriormente pregiudicati anche alla luce dei principi dettati dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU).
L’imputata richiamava inoltre, a supporto delle proprie tesi difensive ed a fronte delle rimostranze del Pubblico Ministero che chiedeva il rigetto dell’eccezione in quanto il decreto era stato notificato prima della sentenza della Corte Costituzionale citata, l’art. 2 comma 4 codice penale in materia di successioni di leggi nel tempo in virtù del quale se la legge del tempo in cui fu commesso il reato di oltraggio a pubblico ufficiale e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.
Il giudice monocratico correttamente decideva di rimettere in termini l’imputata affinchè alla stessa fosse dato avviso della facoltà di accedere alla sospensione del procedimento per messa alla prova.
Cosa dice la Corte Costituzionale:
L’avviso all’imputato della possibilità di richiedere i riti alternativi costituisce una garanzia essenziale per il godimento di un diritto della difesa e la sanzione della nullità ai sensi dell’art 178, comma 1, lettera e) codice procedura penale nel caso di omissione dell’avviso prescritto, trova la sua ragione essenzialmente nella perdita irrimediabile della facoltà di chiedere i riti alternativi se per la richiesta è stabilito un termine a pena di decadenza.
Precisa il Giudice delle Leggi che quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi la violazione della regola processuale che impone di dare all’imputato esatto avviso della sua facoltà la cui mancanza comporta la violazione del diritto di difesa.
Il complesso dei principi, elaborati dalla Corte, sulle facoltà difensive per la richiesta dei riti speciali non può non valere anche per il nuovo procedimento di messa alla prova per consentire all’imputato di determinarsi correttamente nelle sue scelte difensive ed occorre pertanto che gli sia dato avviso della facoltà di richiederlo.
Nel procedimento per decreto inoltre il termine entro il quale chiedere la messa alla prova è anticipato rispetto al giudizio, e corrisponde a quello per proporre opposizione, la mancata previsione tra i requisiti del decreto penale di condanna di un avviso, come quello previsto dall’art. 460, comma 1, lettera e) codice procedura penale, della facoltà dell’imputato di chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa e la violazione dell’art. 24 comma 2 della Costituzione.
L’omissione di questo avvertimento può infatti determinare un pregiudizio irreparabile in cui l’imputato nel fare opposizione al decreto, non essendo stato avvisato, ha formulato la richiesta in questione solo nel corso dell’udienza dibattimentale, e quindi tardivamente.
L’esito del giudizio:
Ricevuta nuova notifica dell’avviso della facoltà di chiedere la messa alla prova, l’imputata decideva di non avvalersi dell’istituto e di procedere con il giudizio.
Nel corso dell’istruttoria dibattimentale inoltre gli stessi agenti della Polizia Municipale intervenuti, all’esito dell’esame testimoniale, non erano in grado di identificare con assoluta certezza la signora S. come autrice del reato di oltraggio a pubblico ufficiale.
All’esito delle ulteriori nuove notifiche e di successivi rinvii della trattazione della causa decorreva il termine prescrizionale per cui veniva disposto non doversi procedere nei confronti dell’imputata per intervenuta prescrizione del reato.
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