Il Codice della crisi di impresa e insolvenza
ha introdotto anche norme di natura penale a carico dell’imprenditore durante la liquidazione giudiziale ovvero il fallimento secondo la vecchia definizione (maggiormente punitiva ed afflittiva mentre oggi è stato sposato il principio per cui il fallimento può considerarsi come un evento ipotetico e meramente fisiologico dell’attività di impresa).
Il Codice,, oltre ai canonici casi di bancarotta fraudolenta e semplice, norma e sanziona, con l’art. 325, il ricorso abusivo al credito per cui gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrono o continuano a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
In altre parole utilizzando, ad esempio, documentazione falsa per nascondere lo stato di crisi, al fine di ottenere ulteriori affidamenti o prestiti dalle banche.
Nel caso citato viene altresì applicata la pena accessoria, in caso di condanna, dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni, oltre alle pene accessorie previste dal codice penale.
Alle medesime pene sono sottoposti gli amministratori ed i direttori generali delle società che sono sottoposte a liquidazione giudiziale.